Terra di Leuca


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Storicamente, la penisola salentina, pare fosse già abitata nel Paleolitico medio, come dimostrano i ritrovamenti di utensili di selce, nelle tante grotte del territorio. Alcune statue ossee rinvenute nella Grotta delle Veneri presso Parabita, dimostrano l'esistenza, già 20.000 anni fa, di culti riguardanti la fertilità. Notevole è anche la testimonianza di Delia, un'ominide di sesso femminile scoperto ad Ostuni che conservava in grembo i resti di un feto in fase terminale, diventando quindi la più antica madre della storia di cui si conservino i resti. La presenza di uomini nel Salento durante il Paleolitico e il Neolitico è documentata anche da interessanti graffiti, pitture, utensili, resti umani ed animali, anch'essi rinvenuti nelle grotte della penisola. Notevoli per qualità e quantità, sono le incisioni e i graffiti della Grotta Romanelli, presso Castro, e della Grotta dei Cervi, presso Porto Badisco. A Roca Vecchia, inoltre, è stato rinvenuto un imponente sistema di fortificazioni risalente all'età del bronzo (XV-XI secolo a.C.). Nella stessa area si trova l'importante sito archeologico di Grotta della Poesia piccola, che reca numerosissime iscrizioni votive, talvolta sovrapposte, di epoche e civiltà differenti, che risalgono all'VIII-II secolo a.C. Nel Capo di Leuca, degni di nota sono anche la Grotta della Trinità a Ruffano e la Madonna della Grotta ad Acquarica del Capo.

Altre importanti testimonianze dell'antichità sono rappresentate da alcune costruzioni megalitiche nel territorio, come i dolmen, i menhir e le specchie.

Il Salento, negli ultimi secoli prima di Cristo, era rappresentato dall'antica Messapia (Terra fra i due mari), poichè abitato dai Messapi, popolazione di origine illirica o forse, egeo-anatolica. Le città principali, coprivano un'area oggi convenzionalmente conosciuta come dodecapoli messapica, anche se probabilmente le città erano più di dodici. Nel Capo di Leuca si ricordano le importanti città di Ozan (Ugento), Hyretum/Veretum (Vereto). Assai rilevante è anche l'insediamento messapico della Chiusa dei Fani, scoperto nel 1987 da archeologi australiani.

Le sanguinose lotte del V secolo a.C. tra i Messapi e la grande colonia greca di Taras (Taranto), avvantaggiarono i romani per la conquista del Salento che si concluse nel III secolo a.C. Di li in poi, la penisola conobbe sotto il dominio romano un periodo di floridezza. Furono realizzate due importanti arterie di collegamento come la via Appia e la via Traiana. Nel periodo dei grandi imperatori, Lupiae, poi Licea o Litium (Lecce), già municipium, venne dotata dell'anfiteatro e del grande Porto di Adriano (San Cataldo). Nella Regio II Apulia et Calabria, il Salento faceva parte della parte sud denominata Calabria, che si differenziava culturalmente dall'Apulia, la parte nord, abitata dai Peucezi e dai Dauni. Dal VI secolo, Otranto crebbe di importanza come porta per l'Oriente, a discapito di Brindisi che perdeva la sua centralità. In quel periodo, il Salento fu duramente colpito dalla guerra greco-gotica, voluta dall'Imperatore d'Oriente Giustiniano per riconquistare le terre occidentali che un tempo appartenevano a Roma. La dominazione bizantina influenzò culturalmente il Salento, ma nel VII secolo i Longobardi conquistarono la Puglia, arrivando poco più a sud dell'Ofanto e successivamente fino alla soglia messapica. La penisola salentina divenne, quindi, una terra di confine fra Longobardi e Bizantini che nel VIII secolo, si spartirono il territorio. Lungo il confine pattuito i Bizantini eressero un muraglione, tramandatoci con il nome di Limitone (o Paretone) dei greci, a salvaguardia di quello che ormai veniva designato semplicemente come territorio di Otranto.

I Bizantini esercitarono per lunghi secoli il loro dominio, lasciando in queste terre un'impronta indelebile. La penetrazione della Chiesa d'oriente dipese soprattutto dalle migrazioni dei monaci orientali, fuggiti a causa delle persecuzioni iconoclaste intraprese dagli imperatori Eraclio e Leone III l’Isaurico e dalle successive migrazioni dei secoli successivi. Si diffuse così il monachesimo, in particolare quello ispirato a San Basilio. Testimonianza del monachesimo italo-greco, sono oggi le cripte, sparse un po' dappertutto nel Salento, e il griko, idioma di origine greca, che ancora oggi si parla nella zona geografica denominata Grecìa Salentina. Il dominio greco raggiunse l’apice nel corso del IX-X sec., il periodo d’oro di Bisanzio, allorquando furono fondati nuovi monasteri di rito basiliano, rifiorirono le arti e fu migliorata l’amministrazione.

Tra il IX e il X secolo, il Salento subì gli assalti dei Saraceni, che riuscirono a stanziarsi a macchia di leopardo sul territorio, ma che furono continuamente contrastati dai Bizantini. In questo periodo l'imperatore bizantino Basilio I, riuscì a strappare ai Longobardi l'intera Puglia.

Nel XI secolo, i Normanni conquistano il meridione d'Italia con Tancredi d'Altavilla e nel 1088 venne fondato il Principato di Taranto. I Normanni attuarono numerose riforme politiche, organizzando un efficace stato feudale e favorendo l'espressione dell'arte. La prosperità raggiunta dal Salento durante la dominazione normanna è ancora oggi avvertibile dai lasciti artistici, tra i quali il celebre mosaico pavimentale della Cattedrale di Otranto e il monastero di San Nicola di Casole. Con il matrimonio fra l'ultima discendente normanna Costanza d'Altavilla e Enrico VI di Svevia, il Salento divenne un'importante area di caccia e gli Svevi, con Federico II, si interessarono della ristrutturazione delle vecchie fortificazioni normanne. Nel 1266, Manfredi, l'ultimo sovrano di origine sveva e figlio naturale di Federico II, morì nella battaglia di Benevento contro Carlo d'Angiò, signore di Provenza, inviato a scendere in Italia meridionale da papa Clemente IV. Il nuovo sovrano, fondatore della dinastia angioina, era accompagnato da un nugolo di cavalieri provenzali che nel giro di pochi anni si sostituirono agli antichi feudatari normanno-svevi. Questi ultimi, non sopportando di essere privati dei loro feudi, invocarono l'aiuto del sovrano aragonese, imparentato con il defunto re Manfredi. Cominciò così un'interminabile contesa tra Angioini (di origine francese) ed Aragonesi (di origine spagnola), che si concluse soltanto nel 1463, alla morte di Giovanni Antonio Orsini del Balzo, principe di Taranto, figlio di Raimondello Orsini del Balzo e della contessa di Lecce, Maria d'Enghien. Il nuovo re, Ferrante d'Aragona, imporrà un forte rinnovamento politico e fece di Lecce un centro tra i più importanti, con uffici pubblici e giudiziari che avevano giurisdizione sulla terra d'Otranto. A seguito della congiura dei baroni, 1486-87, vennero eliminati tutti i grandi feudatari del Regno, tra cui Agilberto del Balzo noto feudatario del Capo di Leuca, conte di Nardò, Copertino, Tricase, Castro, Ugento. La contea di Castro e Ugento viene assegnata a Francesco del Balzo, quella di Alessano, Tricase (con Specchia, Patù, Castrignano, Montesano Salentino, Neviano e Melissano) a Giovan Francesco del Balzo.

A partire dal XV secolo, specialmente a Lecce, ebbero particolare fortuna le attività commerciali, grazie alle comunità di mercanti Genovesi e soprattutto Veneziani, che realizzarono sontuosi palazzi signorili e il Sedile, noto monumento del 1592, situato attualmente in Piazza Sant'Oronzo. Nel 1480 le truppe ottomane di Ahmet Pascià occuparono Otranto, massacrando la maggior parte della popolazione. L'anno successivo la città fu riconquistata dal figlio di Ferrante, Alfonso, duca di Calabria. Il suo governo oppressivo portò nel 1485 a un tentativo di rivolta (la congiura dei baroni) da parte dei nobili, appoggiati dal papa Innocenzo VIII. Alla morte di Ferdinando, avvenuta nel 1494, gli succedette al trono il figlio Alfonso II di Napoli, che a sua volta abdicherà molto presto in favore del proprio figlio Ferdinando II (detto Ferrantino) a causa dell'invasione tanto temuta da Ferrante, di Carlo VIII di Francia, che nel 1494 calò in Italia. Morto Ferrantino a soli 28 anni, nel 1496 il trono fu affidato a Federico I di Napoli, figlio di Ferrante e di Isabella di Taranto, fratello di Alfonso II, che vi regnò dal 1496 al 1503. Al momento della salita al trono di Federico, non si erano ancora spente le rivendicazioni francesi alla corona di Napoli. A queste si aggiunsero le nuove aspirazioni di Ferdinando il Cattolico cugino di Federico. Il regno fu invaso e conquistato con le armi nel 1504 da Ferdinando il Cattolico che pose definitivamente fine alla dinastia di Alfonso V d'Aragona sul trono di Napoli. Nel 1516, alla morte del nonno materno Ferdinando, Carlo V, a soli sedici anni, ereditò il trono d'Aragona, fregiandosi del titolo di re di Spagna. Nel regno di Napoli vi stabilì un Vicereame. Nel XVI secolo, gli assalti dei turchi si fecero sempre più intensi e Carlo V, per difendersi, fece costruire il grandioso castello di Lecce, la città fortificata di Acaja e fece realizzare una serie ininterrotta di torri costiere fortificate. La paura delle incursioni turche, spaventò i privati che fortificarono le loro masserie, mentre i grandi feudatari innalzarono, nell'entroterra, grandi torri di difesa. Iniziò anche, in questo periodo, una fiorente attività artistica che perdurò fino al XVIII secolo e che fece di Lecce uno dei maggiori centri del barocco leccese, influenzato dal plateresco spagnolo. Nel XVII secolo le attività agricole nelle mani della nobiltà e del clero, determinarono una grave crisi economica che culminò in una serie di insurrezioni popolari. Ad aggravare la situazione, un'epidemia di peste, funestò il Regno di Napoli nel 1656. Le vittime furono migliaia ovunque, ma la provincia di Terra d'Otranto fu miracolosamente risparmiata. La popolazione attribuì lo scampato pericolo all'intercessione di Sant'Oronzo, che fu poi per questo proclamato patrono di Lecce e della provincia. In quell'occasione la città di Brindisi donò a Lecce una delle due colonne romane che contrassegnavano la fine della via Appia, affinché su di essa venisse posta la statua di sant'Oronzo, nell'omonima piazza leccese.

Con la dominazione borbonica, che iniziò nel 1734 con Carlo III, si ebbe un periodo di crescita economica attraverso la costruzione di nuove strade e lo sviluppo dei porti, utilizzati specialmente per la commercializzazione dell'olio verso i mercati europei. In questo periodo, infatti, il numero di frantoi ipogei, costruiti principalmente dai nobili locali, crebbe moltissimo.

Una ventata d'aria nuova fu portata da Gioacchino Murat cognato di Napoleone ed il rilancio dell'economia avvenne principalmente durante il periodo napoleonico (1806-1815) grazie ad importanti provvedimenti, tra cui l'abolizione del feudalismo, anche se la nobiltà continuò a spadroneggiare per buona parte del XIX secolo fino all'Unità d'Italia. Con la Restaurazione e il ritorno dei Borboni, prese piede il fenomeno del brigantaggio. Inoltre, anche il Salento fu interessato dal diffondersi delle idee risorgimentali che si tradussero nella costituzione di diverse società segrete come la Carboneria. In questo periodo, da un punto di vista economico, l'alto Salento conobbe un notevole sviluppo agricolo, mentre nel basso Salento predominò l’oliveto e nella parte centro-meridionale i cereali. Nel 1860, il re Francesco II delle Due Sicilia, cadde sotto l'impeto garibaldino e il Salento fu annesso al regno d'Italia, con Lecce provincia che copriva i confini dell'antica Terra d'Otranto. La popolazione salentina viveva di stenti e molti giovani ricorrevano all'ordinazione del sacerdozio per sfuggire a queste condizioni di vita precaria. L'analfabetismo superava il 90% e le poche scuole erano gestite da monaci. I professionisti, come notai e medici, erano molto pochi ed appartenevano alle famiglie nobili o di grossi proprietari terrieri. La mortalità infantile era altissima, i bambini venivano presto avviati al lavoro e gli adulti lavoravano la terra dal tramonto all'alba. In compenso, l'artigianato era prospero (falegnami, fabbri, vasai, calzolai, sarti) ed i prodotti erano esposti nelle fiere e nei mercati settimanali di paese. Numerosi ed eccellenti gli scalpellini della pietra leccese, che lasciarono il loro anonimo contributo sulle facciate delle chiese e dei palazzi signorili che ancora oggi si ammirano.